Natura
Riserva Naturale del Pigelleto
La Riserva Naturale Pigelleto ha una superficie di 862 ettari, quasi interamente boscati, ed è situata nel Comune di Piancastagnaio. L’area protetta comprende una serie di rilievi a morfologia dolce, con l’altitudine maggiore raggiunta da Poggio Pampagliano (969 m), che collegano il Monte Amiata (1738 m), situato a nord, con il Monte Civitella (1107 m), in territorio grossetano. I torrenti Senna e Siele delimitano la Riserva rispettivamente a nord e a sud. Le particolari caratteristiche climatiche e morfologiche dell’area hanno determinato una grande ricchezza di specie vegetali, tra le quali si annoverano il faggio, il castagno, diverse querce, carpini ed il tasso, una maestosa conifera che è attualmente inserita nelle liste rosse internazionali per la sua rarità. La Riserva è nata con lo scopo principale di conservare la popolazione relitta di abete bianco, localmente chiamato “Pigello”, che qui cresce spontaneo come importante testimone dell’ultimo periodo glaciale, terminato circa 10.000 anni fa. La penisola italiana e soprattutto l’Italia meridionale furono infatti i “rifugi” nei quali le foreste di abete bianco si ritirarono quando, al culmine della glaciazione, gran parte dell’Europa era ricoperta dai ghiacci. Con il mutare del clima e il ritiro dei ghiacci, l’abete bianco è sopravvissuto solo nelle zone in cui si conservò un microclima adatto, e dove la competizione con il faggio non era troppo forte. Il Pigelleto è uno di questi pochi popolamenti di abete bianco rimasti in Europa meridionale e, tra quelli italiane, si trova a quote insolitamente basse. Qui occupa aree esposte a nord, fresche e preferibilmente percorse da corsi d’acqua, in associazione ad altre specie arboree. L’abetina ha subito, nel corso del tempo, un costante prelievo da parte dell’uomo, ma è durante la seconda guerra mondiale che un taglio massiccio ne ha ridotto drasticamente la superficie, che oggi occupa circa 30 ettari della Riserva. La Riserva ospita anche specie erbacee di grande bellezza: ne sono un esempio le diverse specie di orchidee, le primule, le viole e la dentaria pennata. Nel sottobosco, umido e fresco, cresce una grande varietà di funghi: un recente studio ha censito oltre 400 specie. In questi ambienti di grande naturalità vivono specie animali di notevole importanza conservazionistica: tra queste la salamandrina dagli occhiali (un piccolo anfibio endemico della nostra Penisola) e ben 8 specie di pipistrelli (una colonia di questi mammiferi volanti si è addirittura stabilita all’interno del Centro Visite della Riserva Naturale). Oltre a queste specie meno frequenti, il Pigelleto ospita anche caprioli, cinghiali, ghiandaie, poiane, capinere, numerose specie di farfalle e tanti altri animali, e non è infrequente scorgerne alcuni esemplari o le loro tracce durante una passeggiata nella Riserva.
Sentiero Roccone
Il sentiero, parte dall’ingresso del Casale e percorre un anello di circa 7.5 km attraversando le zone più interessanti della Riserva Naturale del Pigelleto.
Fuori dal cancello della casa prendere il sentiero sterrato a sinistra che si ricongiunge alla strada provinciale per Piancastagnaio; attraverserete un pezzo di bosco ceduo di quercia fino ad arrivare, dopo 2.3 km, ad una diramazione verdo sinistra che condurrebbe verso il Villaggio Minerario del Siele (punto 1 sul disegno, distanza dal Roccone km 3.0); non la prendete ma continuate diritto fino ad arrivare alla strada asfaltata.
Quì sulla destra (punto 2 sul disegno), segnalato da una bacheca in legno e da un pannello (foto1), inizia il percorso dentro al bosco; in leggera salita e accompagnati da quercie e frassini, vi ritrovate al 3o km ad un quadrivio (punto 3).
Prendete il sentiero che continua a salire sulla vostra sinistra e scorgendo i primi abeti bianchi e potendo sostare su una piccola area attrezzata con un tavolo e panche (foto 2), arriverete sul Poggio Pampagliano (il punto più alto della Riserva Naturale, 969 mt).
Da qui si comincia a scendere su un meraviglioso bosco di faggi con un forte odore (nei mesi da Aprile a Giugno) di aglio orsino (allium orsinum, ottimo per condire spaghetti e pici).
In questo punto del sentiero (punto 4 sul disegno) seguire attentamente la segnaletica bianca e rossa e le deviazioni che in questo periodo sono presenti in attesa di ripristinare il vecchio tracciato. Dopo aver attraversato al km 4.4 la Fonte del Picchio (l’acqua che scorre viene da una sorgente ma non è controllata) si arriva al km 5.5 al ricongiungimento con la strada sterrata interpoderale (punto 5 sul disegno). Siamo qui all’interno dell’Abetina del Pigelleto che è possibile attraversare su un sentierino con staccionate che arriva ad un capanno di avvistamento e si conclude in un’area di sosta con 3 tavoli con panche (foto 3).
Davanti all’area di sosta prendere la strada sterrata che scende sulla destra fino al Podere San Filippo e da li, dopo una breve salita si ritorna al Roccone.
La durata prevista, con passo tranquillo e fermandosi ogni tanto per bere e fare foto è indicativamente di 3 ore circa.
Aspetti geologici
A differenza di quanto ci si possa aspettare in un’area famosa per la presenza di un vulcano spento (il Monte Amiata), e quindi principalmente caratterizzata da rocce magmatiche, nella Riserva Naturale del Pigelleto affiorano rocce sedimentarie riferibili all’Unità di Santa Fiora (Formazione di Santa Fiora e Formazione della Pietraforte) e alla Formazione delle Argille con calcari a palombini. La Formazione di Santa Fiora è costituita da arenarie con calcari ed è maggiormente rappresentata nella porzione nord-orientale della Riserva, mentre la Formazione della Pietraforte è formata da arenarie torbiditiche a composizione quarzoso-calcarea e costituisce l’ossatura dei principali rilievi dell’area (Poggio del Nibbio, Poggio La Roccaccia e Poggio Roccone). Riserva Naturale del Pigelleto, mappa geologica
Entrambe si sono deposte nel Cretaceo superiore, tra 140 e 65 milioni di anni fa. La Formazione delle Argille con calcari a palombini, più antica (Cretaceo inferiore) e diffusa solo nella porzione meridionale della Riserva (oltre che in alcune piccole aree a nord), è formata da argille e marne, alternate a strati di calcare; le sue argille grigie si sfaldano facilmente in piccole scaglie che si accumulano ai piedi dei versanti più acclivi. Queste formazioni si deposero in ambiente di mare profondo a partire da 140 milioni di anni fa (Cretaceo inferiore), quando l’Oceano Tetide iniziò a chiudersi; in particolare, nel caso delle Argille con calcari a palombini, l’alternanza tra argilliti, marne e bancate calcaree è frutto di frane sottomarine che hanno periodicamente interrotto la deposizione delle argille e delle marne con fanghi calcarei trasportati dalle frane stesse. La disposizione attuale delle diverse formazioni geologiche della Riserva, in cui la più recente (F. di S. Fiora) si trova sottostante a quella più antica (F. delle Argille con calcari a palombini), è il frutto delle fasi orogenetiche di formazione dell’Appennino. L’attività vulcanica del Monte Amiata ha influito su quest’area nelle sue ultime fasi di raffreddamento, con la mineralizzazione del cinabro. Si tratta di un minerale rosso acceso, diffuso in masse compatte e granulari o come fine impregnazione di rocce sedimentarie; la sua polvere è stata impiegata da etruschi, romani e pompeiani come colorante, noto con il nome di “vermiglione”, nella decorazione muraria, e ancora dagli amanuensi nei loro codici miniati, mentre in tempi più recenti è stato usato per l’estrazione del mercurio. Fin dagli etruschi, quindi, il territorio della Riserva è stato sfruttato per l’estrazione di questo importante minerale e nell’area si trovano tuttora gli impianti, oramai abbandonati, di tre miniere: quella delle Solforate, dell’Abetina e del Siele.
Gli ambienti della riserva
Le tipologie forestali protette dalla Riserva si mostrano ai visitatori lungo i sentieri in tutta la loro varietà di forme, colori e odori. Il passaggio da un tipo di bosco all’altro è spesso graduale e quasi impercettibile: le specie che costituiscono le diverse comunità sono infatti quasi sempre le stesse, ma la loro distribuzione e abbondanza relativa cambia. La cerreta risulta essere la formazione predominante: oltre al cerro, questo tipo di bosco accoglie molte altre specie come gli aceri, l’orniello, il ciavardello e ovviamente, nelle zone più umide e fresche, anche l’abete bianco. Un altro ambiente forestale esteso, che accompagna i visitatori lungo buona parte dei sentieri, è quella formata dal faggio e dall’abete bianco in associazione con molte altre specie come il carpino bianco e il tasso. In porzioni minori della Riserva Naturale sono presenti impianti artificiali di conifere e aree aperte a pascolo o coltivate. Nell’estremità meridionale si trovano infine i vecchi edifici delle Miniere del Siele.
Il bosco di faggio e abete bianco
Nelle zone più fresche della Riserva si sviluppa il caratteristico bosco misto di faggio e abete bianco, dove compaiono anche rari individui di tasso. Questa tipologia forestale è uno degli habitat di interesse comunitario presenti nella Riserva Naturale. È in prevalenza un bosco ad alto fusto ricco di alberi secolari e erede della gestione forestale attuata durante il periodo di attività mineraria, quando i grossi tronchi di abete bianco erano usati come puntellame da miniera. Le chiome d latifoglie rappresentate in prevalenza da faggi accompagnati da popolamenti di castagno, acero opalo, montano e campestre e carpino bianco formano una volta che mantiene, anche nel periodo estivo, una temperatura ben al di sotto di quella dell’ambiente aperto e offre rifugio e risorse alle specie di uccelli tipiche del bosco, come il tordo bottaccio, il fringuello e la cincia bigia, che qui vi nidificano. Le foglie del faggio si sviluppano anche nelle zone ombreggiate, con il risultato che le chiome delle faggete possono essere particolarmente dense e stratificate. Il piano arbustivo è perciò estremamente contenuto e formato dai giovani esemplari delle principali specie arboree sovrastanti, oltre che dalle specie arbustive propriamente dette, come la laureola. Il piano erbaceo è abbondante e ricco di specie vegetali e animali ad esse legate, soprattutto all’inizio della primavera, quando il passaggio della luce non è ancora ostacolato dal pieno sviluppo vegetativo delle latifoglie. Primula comune,viola, aglio orsino, dentaria pennata, belladonna e ranuncolo sono le piante più diffuse e offrono una ricca fonte di nettare per farfalle e altri insetti. Gli strati superiori della lettiera e del suolo vengono rimescolati continuamente dagli invertebrati, ma anche da uccelli, scoiattoli e cinghiali, tutti alla ricerca di cibo. Il suolo è invaso da numerosi funghi dalle dimensioni e forme più disparate, alcuni associati in simbiosi alle piante, altri che invece si comportano da parassiti. Scavate nel terreno ci sono diversi tipi di tane, da quelle grandi dell’istrice, del tasso e della volpe a quelle più piccole delle lucertole muraiole. Numerosi ruscelli attraversano il bosco e risultano essere un habitat ideale per anfibi tipici di questi ambienti come la salamandrina dagli occhiali e la rana appenninica. In autunno il bosco dipinto dal colore dorato delle foglie del faggio è di grande fascino e la produzione di faggiole (i frutti del faggio), castagne e altri frutti rappresenta una fonte indispensabile per la sopravvivenza di numerosi animali, tra i quali il capriolo e il cinghiale. In inverno, con la caduta delle foglie, il bosco si presenta spoglio e quiescente, a volte coperto di neve. Solo l’abete bianco, il tasso ed alcuni arbusti conservano le loro foglie, creando un mosaico di sempreverdi alter- nato ai tronchi delle caducifoglie.
Il bosco misto di cerro…
La tipologia boschiva più diffusa nella Riserva è il bosco misto di cerro. Insieme a questa quercia, possono essere presenti molte altre specie arboree: l’acero opalo, il carpino bianco, il frassino maggiore, l’orniello, il pero selvatico, il ciavardello e, più raramente, l’abete bianco. Nel sottobosco si trovano il pungitopo, il biancospino, molte altre specie arbustive e, in primavera, una grande varietà di fiori, quali il ciclamino primaverile e le orchidee Orchis purpurea e Cephalanthera longifolia. . La cerreta ospita numerosi uccelli, come lo scricciolo, la cinciarella e la ghiandaia e mammiferi di varie dimensioni, dal piccolo moscardino alla volpe e il cinghiale.
… e il legno morto
La naturalità dei boschi del Pigelleto si manifesta anche con la presenza di grandi e vecchi alberi, di tronchi morti e di legno marcescente. Sono elementi rari a trovarsi nei boschi gestiti esclusivamente con criteri economici, ma che invece, al pari degli altri momenti del ciclo vitale dell’albero, sono fondamentali per la stabilità degli ecosistemi forestali. Tramite le complesse relazioni che si instaurano sul legno morto in una foresta, la materia organica viene restituita al terreno, migliorando la fertilità dei suoli e la loro capacità di trattenere umidità, a tutto vantaggio della foresta stessa. In questo ciclo virtuoso si inseriscono una miriade di specie, che insieme rendono possibile questo processo e che rappresentano una grande ricchezza in termini di biodiversità. I tronchi morti, che siano caduti o ancora in piedi, vengono velocemente attaccati da funghi e batteri, che ne provocano la decomposizione, attaccando per prima la parte esterna. Il legno marcescente viene rosicchiato e digerito dalle larve di alcune specie di coleotteri, come il cervo volante e le diverse specie della famiglia dei Cerambicidi, riconoscibili per le lunghissime antenne. A causa del basso apporto nutritivo del legno le larve impiegano diversi anni per completare il loro sviluppo. Le gallerie scavate dai coleotteri e le fessure presenti naturalmente sul legno vengono utilizzate da vespe, api selvatiche e formiche per costruirci i loro nidi, ma anche come rifugio da ragni e larve di mosche. I picchi approfittano dell’abbondanza di questa fonte alimentare martellando con il loro becco robusto il legno, allo scopo di localizzare le prede; anche altri uccelli arboricoli come il rampichino e il picchio muratore perlustrano i tronchi e raccolgono gli insetti in superficie e nelle fessure. In primavera, i picchi utilizzano gli alberi morti ancora in piedi per scavare i propri nidi che, una volta abbandonati, diventano rifugio per altri uccelli, come le cince, ma anche per piccoli roditori quali ghiri e quercini. Il picchio muratore si insedia spesso nei vecchi buchi abbandonate, dopo averne adattato l’ingresso modellandolo con del fango. Le cavità naturali negli alberi, rifugio per la faina e l’allocco, e gli spazi sotto le cortecce dove il rampichino costruisce il nido, vengono inoltre utilizzati da alcune specie di pipistrelli, come il barbastello comune e la nottola di Leisler.
Il massiccio del Monte Amiata
Il Monte Amiata è un antico vulcano spento che si staglia imponente nella parte sud della Toscana; ricoperto da un meraviglioso bosco misto che inizia con i castagni delle sue pendici per poi passare all’abetina ed in fine alla maestosa faggeta che ne ricopre la vetta (1738 mt slm). Il Monte Amiata è un posto ideale dove ritemprare corpo e spirito approfittando dei sentieri presenti su tutto il cono vulcanico e delle opportunità turistiche che offrono i numerosi borghi che lo popolano. La vetta del Monte Amiata è raggiungibile dall’Agriturismo Roccone dopo circa 25 minuti di macchina.
Trekking e MTB sul Monte Amiata
Nel bosco della “Macchia Faggeta”
L’Amiata, per le sue caratteristiche naturali, è un grande museo all’aperto, un parco storico-ambientale in cui natura, arte e cultura si incontrano e si fondono felicemente. È un luogo da vivere, per respirarne l’aria salubre, l’atmosfera incantata di un dialogo ininterrotto tra uomo e ambiente. È l’ambiente ideale per gli amanti del trekking . I boschi sono facilmente percorribili a piedi a cavallo e in mountain bike , seguendo una rete di sentieri disegnata su antichi tracciati di cercatori di funghi e boscaioli e collegano i paesi al circondario naturale della montagna. Il complesso dei sentieri segnalati copre 215 Km ed è suddiviso in due sezioni con un totale di 19 sentieri principali e altri sentieri minori.
Il sentiero “maestro” è l’anello del Monte Amiata. Un itinerario circolare di circa 30 Km che gira intorno al cono vulcanico ad un’altitudine tra 1050 e i 1300 m. Recentemente è stata disegnata anche una bellissima mappa per l’orienteering nella parte alta della Montagna tra il Prato delle Macinaie e quello della Contessa. Ben 13 sono le aree protette o tutelate (parchi e riserve ) per il loro valore naturalistico ed ambientale.
Una montagna a passo d’uomo
La nuova rete di sentieri che attraversa l’Amiata, unendo i centri abitati tra loro e alla parte alta della montagna, permette di coglierne lo straordinario patrimonio naturale e culturale e nello stesso tempo , collegando con le direttrici che attraversano il resto della provincia senese e di quella grossetana, ne sottolinea la centralità nell’ambito della Toscana meridionale, fornendo un respiro regionale alla sentieristica già esistente. I sentieri si sviluppano per circa 215 km, suddivisi in due direttrici raccordate al grande anello del cono vulcanico, per un totale di 19 sentieri principali che comprendono altri sottostanti
La direttrice II da ripa D’Orcia a Catabbio
Attraversa inizialmente le Gole dell’Orcia, confine naturale del massiccio amiatino. Da Castiglione il sentiero segue, in un mare di boschi, le pendici dell’Amiata fino al borgo di Vivo d’Orcia , poi raggiunge Seggiano, risale a Castel del Piano e Arcidosso e prosegue verso il Monte Labbro (1193) sulla cui brulla vetta, in un ambiente mistico, sono ancora visibili i segni dell’esperienza “Davidica”. A Roccalbegna la direttrice si divide in due vie principali che passando da Semproniano raggiungo entrambe Catabbio.
Piste e Itinerari
L’anello del Monte Amiata
Cinge il perimetro della montagna per circa 30 Km, a quote comprese tra i 1050 e i 1300 metri, attraversando boschi di faggio, castagno e querce in un ambiente d’incomparabile bellezza. Tre raccordi uniscono le direttrici all’anello: dal Vivo d’Orcia al rifugio Fonte Capo Vetra, da San Lorenzo a Poggio Biello e da Santa Fiora a Poggio Trauzzolo.
Nel bosco è necessario rispettare alcune regole:
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- Comportamento. Nel nostro territorio comportatevi esattamente come nel vostro giardino. Quando tornerete sarà ancora bello, pulito e godibile.
Rifiuti. Usate contenitori per riportare a casa i vostri rifiuti, oppure i cassonetti delle apposite aree di sosta. Gli animali del bosco non amano la spazzatura dell’uomo. - Sentieri. I sentieri della Macchia Faggeta sono ben segnalati e vi consentono un’ampia esplorazione del territorio, non lasciateli, eviterete di perdervi. Non è consentito l’ingresso alla proprietà con veicoli a motore.
- Alberi. Sono la vera bellezza della montagna e il nostro bene più grande e servono all’ambiente. Non danneggiateli.
- Sassi. Ogni angolo del bosco e ogni sasso ospitano piante e animali. Rispettateli.
- Sottobosco. Fiori, erbe, foglie e terriccio fanno parte dell’ecosistema. Non raccoglieteli.
- Funghi. Per la raccolta è necessario un apposito permesso, potreste incorrere in sanzione. Seguite le regole della raccolta: se non conoscete la specie non danneggiate il fungo e lasciatelo in bosco.
- Animali. È possibile fare incontri graditi con caprioli, cinghiali, istrici, volpi e scoiattoli ed eccezionalmente lupi. Non abbiate paura, ne hanno più loro. Imparate a riconoscere la grande varietà di uccelli dal loro canto.
- Acqua. La Macchia Faggeta ha collocato tre fontanelle al primo rifugio, al rifugio Cantore e in località Pianello. Servitevi pure.
- Fuochi. È assolutamente proibito accendere fuochi. Per i vostri pic-nic usate una delle numerose aree attrezzate.
- Comportamento. Nel nostro territorio comportatevi esattamente come nel vostro giardino. Quando tornerete sarà ancora bello, pulito e godibile.
Il nostro bosco è certificato PEFC che è indice di alta qualità della gestione forestale. Per conservare la certificazione occorre che vengano rispettate tutte le norme di cui ai punti precedenti.
La Riserva Naturale del Monte Penna
La Riserva Naturale del Monte Penna è situata nel Comune di Castell’Azzara; la sua vegetazione è costituita soprattutto da boschi: alle maggiori altitudini predominano il cerro e l’acero campestre con la presenza anche del frassino maggiore e dell’orniello, mentre più in basso domina in assoluto il faggio accompagnato dal castagno, che raggiunge talvolta dimensioni eccezionali. Tra i mammiferi presenti nella riserva troviamo la volpe, l’istrice, il capriolo, il cinghiale, la faina, la donnola e il daino. Si segnala anche la presenza di specie di rapaci come la poiana, lo sparviero, il biancone, l’allocco; di grande interesse, infine, è la popolazione di pipistrelli che trova rifugio nelle grotte calcaree della zona. La Riserva Naturale del Monte Penna è raggiungibile dall’Agriturismo Roccone sia in macchina (15 minuti) sia a piedi che in bicicletta (15 Km circa).
Riserva Naturale del Monte Labbro e Parco Faunistico dell’Amiata
Sia la Riserva del Monte Labbro che il Parco Faunistico del Monte Amiata, si trovano nel versante grossetano della montagna; il paesaggio di questa zona è particolarmente suggestivo, in quanto contrastante con quello del vicino cono vulcanico del Monte Amiata. Infatti, la cima del Monte Labbro, e parte del Parco Faunistico, sono costituite da rocce calcaree bianche, fratturate ed in gran parte spoglie, circondate da un mosaico di pascoli, siepi e campi coltivati, dove un’agricoltura estensiva permette il mantenimento delle caratteristiche naturali. Da segnalare, sulla sommità del Monte Labbro, la presenza di alcuni edifici di eccezionale importanza storico-culturale, risalenti al movimento Giurisdavidico di Davide Lazzaretti. Particolarità del Parco Faunistico è invece la presenza di aree chiuse dove è possibile avvistare numerosi mammiferi e alcuni esemplari di lupo appenninico. Le due aree naturali sono raggiungibili dal Podere Roccone tramite strada asfaltata transitabile sia in macchina che in bicicletta.
Parco Naturale della Maremma
È situato a circa 60 km dal Podere Roccone e si raggiunge percorrendo la strada che da prima raggiunge Paganico e poi si sposta sulla superstrada Grosseto-Fano.
È il primo parco naturale istituito dalla Regione Toscana nel 1975; con una estensione di 9.800 ettari si prolunga da Principina a Mare a Talamone; generalmente la zona del parco è ricoperta da zone agricole abbandonate e da pascoli dove non è difficile vedere alla stato brado vacche e cavalli di razza maremmana. Tipici dell’area sono anche le distese di macchia mediterranea che dalle colline si estendono fin quasi al mare; a completare il panorama oliveti secolari, rosmarino, querce da sughero, ginestre e aglio selvatico.
Numerose testimonianze di attività umane nella zona del Parco risalgono al Paleolitico inferiore, circa 500.000 anni fa. Da quel momento l’area è sempre stata abitata con meravigliose testimonianze di epoche etrusche e romane. Le bellezze dei borghi e dell’entroterra selvaggio, abbinate alle limpide spiagge della costa, fanno del Parco della Maremma una tappa obbligatoria per chi visita la parte meridionale della Toscana soprattutto nel periodo estivo.
Cultura
Siena fu fondata come colonia romana al tempo dell’Imperatore Augusto e prese il nome di Saena Iulia. All’interno del centro storico senese sono stati ritrovati dei siti di epoca etrusca, che possono far pensare alla fondazione della città da parte degli etruschi.
Il primo documento noto in cui viene citata la comunità senese risale al 70 e porta la firma di Tacito che, nel IV libro delle Historiae, riporta il seguente episodio: il senatore Manlio Patruito riferì a Roma di essere stato malmenato e ridicolizzato con un finto funerale durante la sua visita ufficiale a Saena Iulia, piccola colonia militare della Tuscia. Il Senato romano decise di punire i principali colpevoli e di richiamare severamente i senesi a un maggiore rispetto verso l’autorità. Dell’alto Medioevo non si hanno documenti che possano illuminare intorno ai casi della vita civile a Siena. C’è qualche notizia relativa alla istituzione del vescovado e della diocesi, specialmente per le questioni sorte fra il Vescovo di Siena e quello di Arezzo, a causa dei confini della zona giurisdizionale di ciascuno: questioni nelle quali intervenne il re longobardo Liutprando, pronunciando sentenza a favore della diocesi aretina. Ma i senesi non furono soddisfatti e pertanto nell’anno 853, quando l’Italia passò dalla dominazione longobarda a quella franca, riuscirono ad ottenere l’annullamento della sentenza emanata dal re Liutprando. Pare, dunque, che al tempo dei Longobardi, Siena fosse governata da un gastaldo, rappresentante del re: Gastaldo che fu poi sostituito da un Conte imperiale dopo l’incoronazione di Carlo Magno. Il primo conte di cui si hanno notizie concrete fu Winigi, figlio di Ranieri, nel 867. Dopo il 900 regnava a Siena l’imperatore Ludovico III, il cui regno non durò così a lungo, dal momento che nel 903 le cronache raccontano di un ritorno dei conti al potere sotto il nuovo governo del re Berengario.
Siena si ritrova nel X secolo al centro di importanti vie commerciali che portavano a Roma e, grazie a ciò divenne un’importante città medievale. Nel XII secolo la città si dota di ordinamenti comunali di tipo consolare, comincia a espandere il proprio territorio e stringe le prime alleanze. Questa situazione di rilevanza sia politica che economica, portano Siena a combattere per i domini settentrionali della Toscana, contro Firenze. Dalla prima metà del XII secolo in poi Siena prospera e diventa un importante centro commerciale, tenendo buoni rapporti con lo Stato della Chiesa; i banchieri senesi erano un punto di riferimento per le autorità di Roma, le quali si rivolgevano a loro per prestiti o finanziamenti.
Alla fine del XII secolo Siena, sostenendo la causa ghibellina (anche se non mancavano, le famiglie senesi di parte guelfa, in sintonia con Firenze), si ritrovò nuovamente contro Firenze di parte guelfa: celebre è la vittoria sui toscani guelfi nella battaglia di Montaperti, del 1260, celebrata anche da Dante Alighieri. Ma dopo qualche anno i senesi ebbero la peggio nella battaglia di Colle Val d’Elsa, del 1269, che portò in seguito, nel 1287, all’ascesa del Governo dei Nove, di parte guelfa. Sotto questo nuovo governo, Siena raggiunse il suo massimo splendore, sia economico che culturale.
Dopo la peste del 1348, cominciò la lenta decadenza della Repubblica di Siena, che comunque non precluse la strada all’espansione territoriale senese, che fino al giorno della caduta della Repubblica comprendeva un terzo della Toscana. La fine della Repubblica Senese, forse l’unico Stato occidentale ad attuare una democrazia pura a favore del popolo, avvenne il 25 aprile 1555, quando la città, dopo un assedio di oltre un anno, dovette arrendersi stremata dalla fame, all’impero di Carlo V, spalleggiato dai fiorentini, che cedette in feudo il territorio della Repubblica ai Medici, Signori di Firenze, per ripagarli delle spese sostenute durante la guerra. Per l’ennesima volta i cittadini senesi riuscirono a tenere testa ad un imperatore, che solo grazie alle proprie smisurate risorse poté piegare la fiera resistenza di questa piccola Repubblica e dei suoi cittadini.
Dopo la caduta della Repubblica pochi senesi guidati peraltro dall’esule fiorentino Piero Strozzi, non volendo accettare la caduta della Repubblica, si rifugiarono in Montalcino, creando la Repubblica di Siena riparata in Montalcino, mantenendo l’alleanza con la Francia, che continuò ad esercitare il proprio potere sulla parte meridionale del territorio della Repubblica, creando notevoli problemi alle truppe dei fiorentini. Essa visse fino al 31 maggio del 1559 quando fu tradita dagli alleati francesi, che Siena aveva sempre sostenuto, che concludendo la pace di Cateau-Cambrésis con l’imperatore Carlo V, cedettero di fatto la Repubblica ai fiorentini.
Radicofani
Radicofani era anticamente una fortezza che ha controllato per secoli il confine tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio. Il paese offre un bellissimo panorama sulla Val d’Orcia, l’Amiata, l’Appennino e i laghi Trasimeno e di Bolsena, tutti nei dintorni, facilmente raggiungibili in poco tempo. Della Rocca di Radicofani ne è documentata l’esistenza fin dal 978, anche se origini sono molto antecedenti e risalgono all’epoca Carolingia, quando venne acquistata da parte dei Monaci di Abbadia San Salvatore. La Rocca fu possedimento dei monaci fino al 1153 quando venne riscattata dallo Stato Pontificio. Per la sua posizione strategica sull’antica via Francigena (è sita su un colle alto 896 metri e raggiunge sulla terrazza merlata la ragguardevole quota di +960 mt s.l.m.) la Rocca di Radicofani venne usata da Papa Adriano IV per arginare l’avanzata (sia politica che militare) di Federico I il Barbarossa … che governava la Toscana centro sud dall’alto del Castello di Montegrossi. La Rocca di Radicofani divenne importante anche per la giovane Repubblica di Siena da cui dista circa 70 km verso sud. Per quasi due secoli la Rocca di Radicofani fu gestita a due: Repubblica di Siena e Stato Pontificio con i due intermezzi di Ghino di Tacco.
Ghino di Tacco
Messere Ghino di Tacco era, o meglio, fu il Robin Hood italiano e, per ben due volte nel 1297/1298 e nel 1300, rocambolescamente la occupò! Ghino (Ghinotto) di Tacco nasce a Torrita di Siena dalla famiglia Cacciaconti Monacheschi Pecorai (ma c’è chi scrive che discendeva dalla stirpe dei conti di Guardavalle o forse discendente della famiglia dei Monaceschi di Torrita), una delle più importanti della zona. Di grande statura e possanza, dotato di insolito coraggio, viene cacciato dalla sua città per le attività delinquenziali (anche il padre e il fratello sono accusati di rapine) e trascorre diversi anni da brigante in Maremma. Dal 1297 al 1300 è a Radicofani dove, impossessatosi della Rocca (sottratta alla Chiesa), spadroneggia nel territorio con le sue gesta, per alcuni come “castigatore di ingiustizie e di potenti”, per altri semplicemente come “audace bandito”. Sono in questi anni che si impone la leggendaria figura di Ghino di Tacco, ribelle ghibellino facendone la base delle sue imprese da “brigante gentiluomo”, menzionate sia da Dante sia da Boccaccio. Quiv’era l’Aretin che dalle braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte, Dante – Purgatorio VI, 13-14Nel Trecento e nel Quattrocento la proprietà s’alterna più volte tra i Salimbeni e la Repubblica Senese. Nel 1458 Papa Pio II Piccolomini dona definitivamente La Rocca di Radicofani a Siena e ne diventa il caposaldo a sud. Durante la guerra di Siena contro gli nimperiali di Carlo V (1554-1555) il castello viene assediato invano dalle truppe di Cosimo dei Medici. La resistenza della Rocca di Radicofani termina al tramonto del 17 agosto 1559, quando viene ammainata la gloriosa Balzana, ultima bandiera della libertà comunale in Italia.
Da Rocca a Fortezza di Radicofani
Passata sotto il Granducato di Toscana la Rocca fu subito ristrutturata a cura dell’architetto Baldassarre Lanci. I lavori durarono dal 1560 fino al 1567 e, se possibile, resero la Rocca ancora più inespugnabile trasformandola in una vera Fortezza. La Fortezza di Radicofani ha una struttura difensiva esterna di forma pentagonale, mentre quella interna ha forma triangolare con le rovine delle tre torri angolari e un corpo centrale (cassero) restaurato e visitabile. La Fortezza venne distrutta nel 1735 dal suo stesso comandante Piero da Piancastagnaio per vendicarsi della sua rimozione dall’incarico e, solo alla fine del 1900, sono stati fatti dei seri lavori di restauro. La visita alla Rocca/Fortezza di Radicofani è a pagamento, ma il prezzo del biglietto è veramente basso. La sola vista della Valdorcia dalla Torre della Penna del Cassero vale il prezzo del biglietto di ingresso. Per le visite ed informazioni sulla Rocca si deve contattare la Società di servizi turistici Brigadoon, ente di gestione di tutto il Parco e della città fortificata al seguente numero di telefono o tramite mail preistoriainclasse@gmail.com. Attenzione: la visita alla Rocca di Radicofani è, praticamente, impossibile per i portatori di handycap motori, se non per limitate porzioni del sito.
Villaggio minerario del Siele
Il Villaggio minerario del Siele è stato il primo stabilimento metallurgico per l’estrazione e la trasformazione del cinabro in mercurio, che è sorto in Amiata.
Si narra che nella metà del 1800, un pastore di Castell’Azzara, raccolse intorno ai margini del torrente Siele, un bel sasso di colore rosso; rientrato in paese il minerale non passò inosservato ad un mercante livornese di origine ebrea che transitava in quei posti e che portò con se la pietra ritornando al porto toscano.
Successivamente, lcuni ricchi impresari, sempre di origine ebrea, acquistarono le concessioni per quei terreni ed ebbe inizio un secolo, per la montagna, di stravolgimenti economici, culturali ed ambientali che portò, nel massimo periodo di espansione del mercato del mercurio intorno agli anni 30 del 1900, ad occupare oltre 3.000 addetti tra le miniere di Piancastagnaio, Abbadia San Salvatore e Castell’Azzara.
Tra le più importanti famiglie che si alternarono nello stabilimento del Siele si ricordano i Sadun, i Rosselli, i Modigliani e i Nathan.
La crisi del mercurio della seconda metà del ‘900 portò alla lenta ma inarrestabile chiusura di tutti gli impianti della zona, ad un periodo economico di grande crisi ed ad una difficile riconversione economica di tutta l’area amiatina
L’area è stata bonificata nel 2000 e l’istituzione del Parco Museo Minerario dell’Amiata ha permesso il recupero e la riconversione (a fini divulgativi e turistici) di alcuni locali tra i quali la cappellina, la portineria, lo spaccio e parte delle officine.
Oltre alle strutture recuperate, per chi visita l’area sono ancora facilmente riconoscibili la Villa del Direttore, i Forni Pacific e gli asciugatoi; alcuni pannelli illustrativi all’interno del Villaggio aiutano a ricostruire la storia della miniera.
Da qualche hanno è possibile visitare, tramite prenotazione, anche parte molto suggestiva della Galleria Emilia per un tratto di circa 200 metri che raggiunge il Pozzo1.
Per gli ospiti del Roccone, che trovano all’interno della struttura numerosi testi su questo argomento, è possibile raggiungere l’area partendo da Casale con una piacevole passeggiata di poco più di 2 km.
Si prende la sterrata interpoderale verso sx in direzione della strada provinciale; a 100 mt dall’incrocio si devia verso sx e si scende per circa 150 metri fino a quando ci si trova sulla sx una sbarra di colore bianco-rosso. Si attraversa la sbarra e si continua a scendere; dopo 50 mt circa si vede sulla dx il Castello di discesa del Pozzo 1 e i locali tecnici, proseguendo oltre si passa davanti alla casa del Direttore fino a trovarsi nel piazzale centrale del Villaggio.
Per visitare, accompagnati da una guida, l’area mineraria ed entrare all’interno della Galleria Emilia,
contattare la Coop.Abies Alba all’indirizzo di posta elettronica info@abiesalba.com.
Sono visitabili due ineteressanti musei che raccontano la storia delle miniere dell’Amiata, uno a Santa Fiora (www.minieredimercurio.it) e l’altro ad Abbadia San Salvatore (www.museominerario.it)
Altre informazioni sul Siele e sulle altre miniere amiatine, le trovate all’indirizzo www.parcoamiata.it
Abbazia di Sant’Antimo
Sant’Antimo è uno dei monumenti più belli e suggestivi in stile romanico, con evidente richiamo ai modelli lombardi. La leggenda vuole che l’Abbazia sia sorta per volontà dell’ Imperatore Carlo Magno che di ritorno da Roma, transitando lungo la via Francigena, rischiò di essere colpito dal’epidemia di peste che imperversava alle pendici del monte Amiata. L’imperatore, in prossimità del fiume Starcia, fece un voto, chiedendo grazia per se stesso e per il suo seguito a che il terribile flagello cessasse e ricevuta la grazia fondò l’ Abbazia di S. Antimo (781). Del IX secolo rimangono soltanto la cripta e la cappella carolingia, la Chiesa attuale fu eretta nel 1118 ottenuta la protezione di imperatori e pontefici. S. Antimo funzionò fino all’ Undicesimo secolo per poi decadere successivamente, fu restaurata il 5 settembre del 1992 e affidata ai Canonici di S. Antimo, che seguono la regola di S. Agostino. L’Abbazia sorge al centro di una valle proprio sotto il paese di Castelnuovo dell’Abate. Da Montalcino si segue la SP55 per circa 10 chilometri.
Appena prima di entrare a Castelnuovo dell’Abate si gira a destra per l’Abbazia. Sant’Antimo è uno dei più importanti esempi di architettura monastica del XIII° secolo e sicuramente il più importante monumento romanico della Toscana meridionale. La chiesa che oggi ammiriamo ha sostituito, attorno al 1100, una precedente Abbazia del IX° secolo. Del complesso edilizio, appartenuto ai Benedettini e poi ai Guglielmiti, restano solo poche parti. La chiesa risale al XII° secolo ed è affiancata da un campanile quadrato. L’interno è a tre navate, con archi a tutto sesto sostenuti da colonne con capitelli in alabastro decorati con intrecci geometrici, floreali e figure umane ed animali. Un matroneo scandisce gli spazi interni. L’altare impreziosisce l’abside semicircolare ad ambulacro, arricchito dalle cappelle radiali. Sotto l’altare è la cripta, dietro si trova un Crocifisso ligneo delle seconda metà del XII° secolo, mentre lungo la parete destra è collocato un’altro gruppo scultoreo in legno raffigurante la ‘Madonna con Bambino in Trono’ (del 1260 ca.). Fino al XIV° secolo Sant’Antimo fu importante centro spirituale, economico e culturale, spesso in contrasto con la stessa Repubblica Senese. I segni della sua antica ricchezza sono ben visibili nelle forme architettoniche, con evidenti influenze francesi, e nella ricercatezza e particolarità delle decorazioni. La chiesa abbaziale è uno dei monumenti in stile romanico più importanti della Toscana. L’edificio è ispirato ai modelli benedettini francesi e lombardi e si staglia grandioso in una campagna integra di rara bellezza. Anche se non ci sono prove certe, la leggenda vuole che a fondare l’abbazia fu l’imperatore Carlo Magno, nel 781, di ritorno da Roma.
Con sicurezza si sa che Ludovico il Pio, figlio di Carlo Magno in un documento dell’epoca fa atto di donazione all’abbazia di beni e privilegi per cui il luogo di culto esisteva sicuramente in epoca carolingia. Il nome dell’abbazia viene fatto risalire a Sant’Antimo di Arezzo, che fu martirizzato in queste campagne nel 352. Qui venne edificato un piccolo oratorio, nei pressi di una villa romana, la cui esistenza è provata da numerosi reperti in marmo e pietra riusati per costruire il monastero come il bassorilievo con la cornucopia sul lato nord del campanile o alcune colonne nella cripta. Altre ipotesi fanno risalire il nome del complesso al Sacerdote Antimo, che visse e fu martirizzato nei pressi di Napoli. Un’altra leggenda narra che Papa Adriano I avrebbe consegnato le reliqui del santo a Carlo Magno che le donò all’abbazia nell’atto di fondazione. Dalle origine leggendarie si siviluppa una potente abbazia benedettina arricchita dalle donazioni dei carolingi, di Berengario II e di Adalberto. L’abate di Sant’Antimo si fregia del titolo di Conte Palatino, ovvero consigliere del Sacro Romano Impero. Documenti papali e imperiali attestano la potenza dell’abbazia che nel medioevo arriva ad avere sotto la sua giurisdizione 38 chiese, numerosi castelli, poderi, mulini e monasteri dal grossetano al pistoiese passando per Siena e Firenze. Il possedimento principale della comunità era il vicino castello di Montalcino ove aveva residenza il Priore. Nel 1118 il Conte Bernardo degli Ardengheschi attraverso una serie di accordi, cede i suoi averi all’abbazia; l’importante atto di donazione è inciso sui gradini dell’altare maggiore. In quel periodo, sotto la guida dell’abate Guidone, la chiesa viene ampliata per assumere l’aspetto che ancora oggi vediamo.
L’ispirazione del progetto fu tratta dalla grande abbazia benedettina di Cluny in Francia. Per realizzarla l’abate richiese proprio l’intervento di architetti transalpini. Con l’avvicinarsi del duecento iniziano i contrasti con Siena in cerca nuove terre per espandesi a sud. Appoggiando la politica senese, papa Clemente III, nel 1189, assoggetta la pieve di Montalcino al Vescovo di Siena. Nel 1200 il Podestà di Siena, Filippo Malavolti, attacca Montalcino, che viene in parte distrutta. Nel 1212 l’abate di Sant’Antimo, la città di Montalcino e Siena sanciscono un accordo che impegna l’Abbazia a cedere un quarto del territorio di Montalcino alla città senese. Questa perdita segna l’inizio della decadenza di Sant’Antimo. Alla fine del secolo, incalzata da Siena l’abbazia continua a perdere terreni. Nel 1291 papa Nicolò IV ordina la fusione della comunità dell’abbazia con i Guglielmiti. Nel 1462 papa Pio II Piccolominisopprime il monastero e lo incorpora nella diocesi di Montalcino e inizia un lungo periodo di oblio che vede il complesso ridursi a sede di una fattoria mezzadrile. Negli anni settanta del novecento a Sant’Antimo vengono girate alcune scene del film “Fratello sole e sorella luna” di Zeffirelli. Per l’occasione le Belli Arti di Siena rifanno interamente il tetto della chiesa cambiando quasi tutte le parti lignee delle capriate. Oggi il complesso restaurato è rinato alla vita monastica grazie aiCanonici di San Norberto.
Escursioni Pitigliano-Ghetto
Zona etrusca del tufo
È un territorio che riunisce i siti archeologici di Sovana, Pitigliano, Sorano e Vitozza; è una zona estremamente ricca di storia e tradizioni che partendo dal periodo etrusco arrivano fino ai giorni nostri. Con partenza dal Podere del Roccone l’area è raggiungibile con l’automobile in circa mezz’ora; buoni pedalatori coprono anche in bicicletta i circa 35 Km di distanza.
Sovana
Sovana era un centro etrusco, che dalla conquista di Vulci in poi (280 a.C.) subì un graduale processo di romanizzazione, culminato con la creazione del municipio con la concessione della cittadinanza romana agli italici. È conosciuta come importante borgo medievale e rinascimentale, nonché sede episcopale.
Sorano
Sorano è definita la Matera della Toscana, per la sua particolare caratteristica urbanistica di numerosi edifici rupestri scavati nel tufo, che ricordano i celebri Sassi; Il centro sorse nel Medioevo presso le vicine necropoli e vie etrusche, divenendo possesso della famiglia Aldobrandeschi nel Quattrocento i Senesi tentarono invano la conquista del paese con vari e ripetuti assedi che non ebbero mai successo. Il centro venne tuttavia strappato dalla Contea degli Orsini alla fine del Cinquecento, quando i Medici lo conquistarono e lo inglobarono nel Granducato di Toscana agli inizi del Seicento assieme alla vicina Pitigliano.
Pitigliano
Il caratteristico centro storico è noto come la piccola Gerusalemme, per la storica presenza di una comunità ebraica, da sempre ben integrata nel contesto sociale che qui aveva la propria sinagoga. Fondato dai Romani nei pressi di vicine necropoli e insediamenti etrusche delimitati da mura, divenne nel Medioevo possesso della famiglia Aldobrandeschi; Il paese si eleva su un pianoro formato dai corsi d’acqua Lente, Meleta e Prochio, è certamente uno dei centri artistici più belli della Toscana e d’Italia.
Vitozza
La Vitozza è il più grande insediamento rupestre dell’Italia centrale; è un complesso di oltre 150 grotte alcune delle quali ottimamente conservate e visitabili.
Benessere
Bagni San Filippo
San Filippo è una frazione del Comune di Castiglione d’orcia ed è attraversato dalla strada provinciale che dal Monte Amiata porta alla Cassia; conosciuta in passato per le sue terme private, al momento chiuse, in questo periodo sta investendo sulla riqualificazione delle terme libere che si trovano nel bosco a sinistra dei parcheggi sulla strada.
Oltre infatti alla famosa formazione calcarea della “Balena Bianca” ultimamente sono state recuperate alcune pozze e dei sentieri che le collegano.
L’ingresso alle “pozze” si trova a metà della strada, davanti ad un bar-chiosco; se volete andare di notte, munitevi di torce.
Come arrivare dal Casale: dalla strada provinciale, prendere a destra per Piancastagnaio, poi per Abbadia San Salvatore ed in fine direzione Cassia. Sono 25 Km dal Roccone.
Bagno Vignoni
Bagno Vignoni si trova nel cuore del Parco Artistico Naturale della Val d’Orcia e, vista la sua vicinanza con la Via Francigena è conosciuto da sempre per le sue acque termali e soprattutto per la Piazza delle Sorgenti che si trova in mezzo al villaggio e trasporta il visitatore in un mondo surreale.
Le terme libere che si trovano scendendo dalla piazza per il Sentiero dei Mulini, non sono grandi e l’acqua non sempre raggiunge delle temperature “gradevoli” per fare il bagno, mentre gli stabilimenti privati sono di ottimo livello.
Anche il borgo, negli ultimi anni, si è riqualificato e propone ai visitatori piccoli angoli per degustare prodotti enogastronomici e dell’artigianato locale.
Proprio a ridosso della piazza c’è un grande parcheggio a pagamento.
Terme private & spa
Albergo Le Terme Piazza delle Sorgenti www.albergoleterme.it info@albergoleterme.it 0577 887150
Hotel Terme Bagno Vignoni www.adler-thermae.com 0577 889001
Come arrivare dal Casale: dalla strada asfaltata proseguire a destra per Piancastagnaio, poi Abbadia San Salvatore e direzione Cassia. Sulla Cassia svoltare a sinistra direzione Siena e dopo circa 15 km passato un ponte in pietra, svoltate a sinistra.
Sono 40 km circa dal casale
San Casciano dei Bagni
Il sistema termale di San Casciano dei Bagni è uno dei più importanti d’Europa soprattutto per la portata delle sue sorgenti che lo collocano ai primi posti con oltre 5 milioni di litri di acqua al giorno.
Caduto l’impero romano, le terme di San Casciano persero la loro importanza e restarono quasi del tutto abbandonate fino alla fine del secolo scorso (1990) quando una serie e importanti finanziamenti pubblici e privati ne hanno decretato il riscatto con standard qualitativi di livello mondiale.
Le terme libere sono forse le più belle perché collocate nelle campagne sottostanti il centro abitato, raggiungibili da un sentierino un poco nascosto che trovate sulla sinistra una volta lasciata l’auto nel grande parcheggio (per metà a pagamento e per metà libero) all’ingresso del paese.
Nell’aerea delle terme anche tavoli, panche e barbecue e una buona illuminazione anche per uscite in notturna.
Terme private & spa
Fonteverde spa www.fonteverdespa.com info@fonteverdespa.com 0578 57241
Come arrivare dal Casale: se non avete problemi con le vostre auto a fare qualche km su strada sterrata, vi consigliamo un sentiero interno alla riserva naturale, suggestivo sia di giorno (il panorama è bellissimo) sia di notte (quasi sempre si incrociano animali selvatici).
Fuori dal cancello del casale scendete verso destra e dopo circa 300 metri alla prima deviazione prendete a destra. Da questo momento ogni deviazione che trovate, tenentevi a sinistra, sempre!
Attraverserete un paesaggio aperto sulla valle del Paglia a sinistra (riconoscibile Radicofani) e le selve del Siele nei pendii a destra; dopo circa 10 km attraverserete un ponticello stretto e vi troverete sulla zona industriale di Piancastagnaio.
Prendete a destra per la strada Cassia, passate una località chiamata Ponte a Rigo e imboccata la diretta per Roma dopo 1 Km deviate a sinistra per indicazioni Autostrade e Bagni San Filippo.
Sono circa 30 Km dal Roccone
Saturnia
Saturnia è un piccolo borgo di origine etrusca che si trova a 40 km dal Casale; la località in provincia di Grosseto è famosa per i suoi stabilimenti privati ma soprattuto per le cascate naturali del Mulino, una tra le mete più ambite del turismo termale; le piscine all’aperto sono un vero gioiellino incastonato nella campagna a pochi Km dal centro abitato.
In maggior parte provenienti dal nord Europa, ma non solo, i turisti frequentano le terme di Saturnia tutti i periodi dell’anno approfittando anche della vicinanza del paese ad alcune località di notevole pregio storico e naturalistico come Pitigliano, Sovana e Sorano.
A poche decine di metri delle vasche ci sono due grandi parcheggi gratuiti, oltre a due aree di sosta private per camper con bus navetta.
Terme private & spa
Terme di Saturnia spa & golf Resort www.termedisaturnia.it 0564-600111
Come arrivare dal Casale: appena usciti sulla strada provinciale prendere a sinistra fino a Castell’Azzara, di li seguire le indicazioni per Sovana-Manciano e poi Saturnia